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Stamattina ci attende una delle escursioni forse più interessanti: le grotte blu e forse anche la spiaggia del Navajo.
Per andare ad Agios Nicolaos, porto di imbarco per l'escursione, cerchiamo una via più breve nell'intricata ragnatela di stradine che percorrono l'intera pianura dell'isola. La segnaletica è scarsa e quella che c'è è posta spesso malamente. La si vede solo venendo in un senso, oppure è posta direttamente sull'incrocio, semmai sul lato sinistro della carreggiata. In alcuni casi le tre ipotesi sono contemporanee. Riusciamo comunque a seguire i percorso previsto. Non siamo sicuri se stasera saremo altrettanto fortunati.
Percorriamo i circa 30 km che ci separano da Agios Nicolaos. Siamo li alle 13,30. Un orario per noi normalissimo. Ci fermiamo davanti ad un chiosco che organizza tour alle grotte. C'è un giro che parte tra 40 minuti e che va anche alla famosa spiaggia del Navajo. Inganniamo il tempo consumando un gelato.
La barca rossa che ci porterà arriva con qualche minuto di ritardo qualche altro se lo prende l'ancora che si è incagliata; in pratica mancano pochi minuti alle tre quando partiamo, velocissimi. Il capitano è un vero lupo di mare, capelli grigi, mustacciuto e fumatore. Spinge la sua barca ad una velocità per noi impensabile per un'imbarcazione di questo tipo. Alti spruzzi d'acqua e un notevole vento fanno da complemento ad un mare blu ed una costa bellissima. La Grecia del nostro immaginario si mostra in tutta la sua selvaggia bellezza. La Grecia del nostro camping, bellina e tranquilla, o addirittura quella di Tsilisi, dozzinale e chiassosa, sono su tutt'altra cosa; sono mille miglia lontane da qui. Il contrasto tra queste due facce dell'isola si fa via via più marcato man mano che il paesaggio si mostra ai nostri occhi. Insenature, ora strette, ora larghe e maestose. Alcune con la montagna a picco direttamente nel mare altre con costoni franati chissà quando ora ridotti dal mare in incantevoli spiaggette bianche ed intonse, popolate solo da fortunati possessori di barche.
In poco tempo giungiamo nel luogo che dal primo viaggio in Grecia, abbiamo sognato di vedere. Quello che è l'emblema di questo paese, visto su tante cartoline e calendari; sicuramente uno dei luoghi più belli ed affascinanti del mondo: la baia del Navajo.
Appena superiamo l'ultimo costone di roccia che la nasconde, di colpo appare; sconvolgente, meravigliosa, surreale con il relitto spiaggiato e racchiuso tra le alte pareti rocciose; queste sono le parole che più si avvicinano a descrivere l'emozione che questo posto ricrea. La presenza di molte barche ed i numerosi bagnanti, scalfiscono appena la magia del posto.
Il capitano ci lascia sulla spiaggia per un'oretta affinché si possa dire: io c'ero ed ho fatto il bagno in questo luogo unico e meraviglioso.
La spiaggia è composta di ghiaia sottile di calcare bianco, l'acqua è di un turchese unico, lattiginoso per la sospensione di polvere calcarea. Non è quindi trasparente, almeno nei 20, 30 mt più prossimi alla riva. Nuotando in quell'acqua è come essere sospesi in un latte azzurro.
Prima di fare il bagno io vado a dare un'occhiata al relitto. Sembra il residuo abbandonato di un set cinematografico; grande, eppur piccolo di fronte alla maestosità del luogo.
La gente lo assale, come formiche legionarie su una preda che ha avuto la sfortuna di incrociare il loro cammino; entrano dal suo ventre squarciato dalle onde e dal tempo, fameliche e decise a calpestare le sue lamiere contorte e arrugginite. Lo percorrono in lungo e in largo arrampicandosi pericolosamente sui due ponti di coperta, di poppa e di prua, e si addentrano in quel che resta delle cabine, ormai invase dalla sabbia. Io, invece, mi accosto allo scheletro solo tra i molti. Con i limiti di tempo che l'escursione impone mi accosto alle sue rugginose lamiere con una sorta di riverente rispetto; quello che si deve ai defunti soprattutto se morti infaustamente ebprematuramente. Fotografo le lamiere cosparse di graffiti e le pietre, anch'esse piene di scritte che, poste in fila, adornano le putrelle di rinforzo dello scafo lungo tutta la sua lunghezza.
Vedere dall'alto di quel che resta del suo ponte i bagnanti che allegri fanno il bagno in attesa che la propria barchetta venga a prenderli, mi sembra ridicolo, dissonante con il luogo. Anch'io non centro nulla, cosa faccio lassù sulla tolda di una nave? Il lunapark del Navajo si sta prestando ancora una volta a svolgere la sua funzione di attrazione turistica. Una prima vita onorevole e chissà, forse anche avventurosa attraversando i mari ed ora animale accasciato, vinto, su cui chiunque può saltare in groppa reclamando la propria immeritata parte di gloria; quella di esserci stato. Ma forse è giusto che sia così. Con sensazioni contrastanti mi appresto a tornare da Maria e a godermi il mio ruolo di turista. Ho difficoltà a scorgerla; con il suo visto estasiato di fronte a tanta meraviglia è già in acqua in mezzo a tanti altri. La raggiungo con il mio inseparabile telefono, ora subacqueo; vorrei fare delle riprese insolite. L'acqua come dicevo, è un "latte azzurro" infatti le riprese subacquee mostrano un monotono schermo turchese. Faccio almeno le riprese che mostrano la conca rocciosa ed il relitto con una vista dal pelo dell'acqua. Non sono comunque sicuro che siano venute un granché.
Come è intuibile, l'ora non ci mette molto a passare. Riprendiamo velocemente il ritorno, ora ci fermeremo a vedere le grotte che abbiamo scorto all'andata. Siamo in pochi minuti. Entriamo in una dopo aver atteso l'uscita di altri gitanti, l'acqua è effettivamente blu, soprattutto guardando verso l'uscita. La luce che entra assicura quella fantastica colorazione. Considerando che l'ingresso è in ombra, immagino che nelle ore in cui è maggiormente illuminata, il risultato sarà ancor più evidente. Giungiamo in un insenatura che sul fondo ha una apertura che poco si alza dal livello del mare. Ci fermiamo; il capitano ci dice bagno e ci invita ad entrare nella grotta. Sono un po' titubante. Invito Maria a non perdersi anche stavolta la sensazione di un bagno giù dalla barca. Si per certo che le piacerebbe moltissimo. Purtroppo è più forte di lei, non se la sente. Insisto ancora un paio di volte poi desisto; non servirebbe a nulla. Anch'io che non sono un fanatico di tuffi ne di acqua alta, sono indeciso. Quasi a cogliere questo mio stato, il capitano mi ribadisce che dentro la grotta è bellissimo. L'idea di poter filmare l'esperienza con il mio nuovo giocattolo mi convince a muovermi. Senza pensarci ancora mi calo con la scaletta. Gli altri rima di me già sono entrati e gli ultimi stanno raggiungendo l'ingresso. Non ho il solito timore, sono distratto. Purtroppo anche qui l'ingresso è in ombra e pochissima luce entra all'interno. Alcuni che hanno raggiunto il fondo li sento vociare e ridere ma non li vedo. Io mi impegno nelle riprese sperando che queste possano rendere la magia del posto. Mi addentro credo fino ai due terzi della sua profondità; non ha senso affollarsi tutti in fondo. Come previsto la luce è veramente poca e l'iPhone non riesce a cogliere la flebile luce, in compenso qualcosa è visibile rivolgendo l'obiettivo verso l'uscita. Esco contento e per nulla intimorito dello scuro del fondo e dei sui circa 10 mt d'acqua che lo ricoprono. Un giro intorno ala barca e risalgo da prua, dove la scaletta è più alta. L'unico rammarico è che il mio Piccolo non abbia potuto godere di questa esperienza. Sbarchiamo dopo 5 minuti.
Sono passate le 18,00 quando ci muoviamo in direzione sud; forse ci fermeremo a Markis Gialos, un'altra spiaggia vista dalla strada.
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