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Siamo arrivati a Laung Prabang in aereo da Hanoi, in fuga dal tifone in arrivo dalle filippine, appena qualche ora prima che l'aeroporto di Hanoi chiudesse per il maltempo. Inutile dire che io non fossi entusiasta di salire su un aeroplanino a eliche della Lao Airlines con il tifone che incombeva. In realta', a parte un decollo un po' traballante, il volo e'stato sopportabile e cosi' ci siamo risparmiati 12 ore di autobus su e giu' per le montagne. L'albergo che abbiamo scelto non poteva trovarsi in una posizione migliore: sulla punta della penisola su cui sorge la citta', proprio nel punto in cui il piccolo e impetuoso Nam Khan si immette nel grande Mekong. Il padrone dell'albergo e' uno svedese di circa sessantacinque anni che gestiva degli alberghi a Stoccolma e che ad un certo punto ha deciso di lasciare moglie e lavoro per aprire un albergo a Luang Prabang. Il Mekong Riverview hotel e' aperto dal 2009, ed e' una delizia. Le stanze sono in una delle tante ville coloniali francesi, ma hanno un tocco scandinavo che le rende speciali. Noi abbiamo particolarmente apprezzato il letto reclinabile (sia dalla parte della testa, che da quella del piedi!), il minibar gratis e la "rainforest shower". Comunque, torniamo a noi. Il modo migliore per girare Luang Prabang e' in bici, e cosi' abbiamo fatto, sfidando la caldazza e gli scrosci di pioggia tropicale. La citta' ha piu' di 30 templi e non ha senso pensare di vederli tutti, cosi' noi ne abbiamo selezionati alcuni e incontrati molti altri sulla strada. In uno di questi, che si trovava un po' fuori dal centro, siamo riusciti a fare due chiacchiere con dei giovani novizi che a quell'ora del pomeriggio hanno un po' di tempo libero. Due di loro parlavano un po' di inglese ed erano molto ansionsi di far pratica. Ci hanno raccontato un po' dei loro studi e delle loro gionate, che cominciano alle 4.30 del mattino con un'ora di preghiera e finiscono verso le 8. Ai monaci e' concesso un solo pasto al giorno, strettamente vegetariano, fatto di riso e verdura che deve essere consumato prima di mezzogiorno, e poi non mangiano piu' niente di solido fino all'alba del giorno successivo. Il secondo giorno ci siamo svegliati prima dell'alba per vedere i monaci uscire in fila dai templi e ricevere le offerte di riso e frutta dai fedeli inginocchiati ai bordi delle strade. Il tutto si svolge in silenzio e nel giro di pochi minuti, ma l'atmosfera e' bellissima, anche se, ci hanno detto, spesso rovinata da turisti invadenti che intralciano la strada ai monaci pur di fare una fotografia. Dopo la cerimonia siamo saliti sulla collina Phousi, anche questa sacra e piena di buddha sorridenti sdraiati sui pendii, e ci siamo goduti la vista sul fiume in totale solitudine. Riscesi in paese, ci siamo trovati in mezzo al mercato, uno dei piu' belli e colorati che abbia visto, dove si vende di tutto, dalla frutta, al pesce, alle rane, ai nidi d'uccello, a spezie di ogni tipo. Tornati in albergo verso le 8.30, abbiamo fatto colazione e ce ne siamo tornati a letto mentre fuori scrosciava una pioggerella fresca. Come tanti si sono accorti prima di noi, il Laos ha ritmi molto diversi da quelli dei suoi stati vicini. Qui nessuno ti rincorre cercando di a tutti i costi di venderti qualcosa e, se si avvicina per parlarti, e' quasi sempre per curiosita'. Nessuno corre o urla, nessuno si ammazza di lavoro. L'isolamento forse, e l'attaccamento al buddhismo hanno fatto si' che questo paese restasse quasi del tutto incontaminato dalla corsa al profitto che sembra aver contagiato (partendo dalla Cina) Thailandia in primis, ma ormai anche Vietnam e Cambogia. La storia del Laos non arriva spesso sui nostri libri di storia, ma anche qui la guerra ha portato morte e devastazione. I comunisti vietnamiti passavano dal Laos per portare armi dal nord al sud del paese, lungo il sentiero di Ho Chi Min. Per questo gli americani hanno "segretamente" bombardato la zona a tappeto, non lasciando in piedi quasi nulla. Ora il Laos e' piu' stabile, anche se qui la dittatura e' piu' dura che in Vietnam (per esempio c'e' ancora il coprifuoco a mezzanotte), ma in tanti sono preoccupati per le sorti di posti incantati come Luang Prabang, perche' gia' si dice che il governo faccia l'occhiolino alla Cina per ottenere "sviluppo" in cambio del prezioso legname delle foreste del Laos. Io, dopo aver visto Pechino e Shanghai e dopo aver intuito quello che accadra' in Vietnam, spero che almeno in Laos trovino una terza via, come suggeriva Terzani, che sia una via di mezzo fra l'isolamento-arretratezza e lo sviluppo-distruzione. Intanto, la penisola di Luang Prabang e' patrimonio dell'Unesco e questo un po' mi rassicura.
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